Terza pagina Pamphlet Gilles-William Goldnadel, avvocato che difese Oriana Fallaci, lancia l' allarme
Il nuovo razzismo contro i bianchi
«Siamo ancora vittime del pensiero unico terzomondista» dal nostro corrispondente
PARIGI - In una delle più riuscite commedie cinematografiche degli ultimi mesi, Le nom des gens di Michel Leclerc, il protagonista è afflitto dal suo nome, più banale e francese che non si può: Arthur Martin, condiviso con una marca di cucine e con altri 17 mila connazionali, tutti presumibilmente francesi bianchi nati in Francia da genitori bianchi. Basta questo a farlo sentire poco interessante e a fargli guadagnare il disprezzo di Bahia Benmahmoud, affascinante e squinternata figlia di una ricca sessantottina parigina e di un muratore algerino. Finirà che Arthur e Bahia faranno un bambino, lo chiameranno Chong e all' infermiera un po' perplessa, che chiede lumi sulle origini, risponderanno, estenuati, «delle origini ce ne freghiamo». La parabola di Arthur Martin è al cuore di un tema molto dibattuto in Francia: la difficoltà di convivere, soprattutto in certi quartieri, con la presunta colpa di non appartenere a una delle tante minoranze visibili più o meno organizzate. Torna a scriverne Gilles-William Goldnadel, uno dei prìncipi del foro parigino, che nel processo per le affermazioni anti islam contenute in La Rabbia e l' Orgoglio difese Oriana Fallaci. Riflessioni sulla questione bianca. Dal razzismo bianco al razzismo anti-bianco, si intitola il libro di Goldnadel (editore Jean-Claude Gawsewitch). Un volume pieno di interessanti argomentazioni, il cui punto debole sembra però presentarsi nell' «avvertenza» iniziale: «Se pubblicassi l' ennesima opera consacrata alla "questione nera" - scrive Goldnadel - non avrei da temere alcuna reazione infastidita. Ma evocare il problema bianco è, di per sé, provocatorio o scandaloso, secondo i criteri della casta dominante». Goldnadel allude ancora al «pensiero unico» terzomondista, vittimista e politicamente corretto, che non permetterebbe a nessuno di discostarsi dai ritornelli cari alle élite sulla «immigrazione come ricchezza» e sul «rispetto del relativismo culturale». Questo poteva essere forse vero negli anni Settanta, prima che il francese Pascal Bruckner pubblicasse Il singhiozzo dell' uomo bianco (Guanda, 1983), che Oriana Fallaci in Italia e Ayaan Hirsi Ali in Olanda reagissero con virulenza contro la minaccia islamista, e prima che nel 2005, in Francia, Alain Finkielkraut, Jacques Julliard e Bernard Kouchner denunciassero le «violenze antibianchi» commesse nelle manifestazioni studentesche contro la legge Fillon. Oggi, anche e soprattutto in Francia, il pensiero una volta tacciato di «neoreazionario» non è più marginale, ma anzi rischia di diventare il nuovo conformismo: il polemista antimmigrati Eric Zemmour occupa ormai la prima serata del sabato sulla rete pubblica France 2, e parla tra le ovazioni a una riunione dell' Ump, il partito di governo. Impostazione immotivatamente carbonara a parte, Goldnadel parla del suo sentirsi, in quanto ebreo, un «bianco al quadrato», per questo meritevole di ancora più riflessi colpevolisti da parte delle minoranze nere e arabe e dei loro sostenitori progressisti. E come nasce questo odio nei confronti della maggioranza e delle istituzioni che la incarnano, cioè lo Stato? La tesi di Goldnadel è che gli europei non si sono mai ripresi dalla scoperta tardiva - negli anni Sessanta e Settanta, grazie al processo Eichmann, alla serie tv Olocausto e al film Shoah di Claude Lanzmann - dell' abominio dello Stato nazista. «Lo slogan scandito dai ragazzi parigini nel maggio ' 68, "Crs Ss" (Crs erano i celerini francesi, ndr), è qualcosa di più di un primo segno della banalizzazione della Shoah. È un lapsus che rivela l' inconscio della generazione che ha scoperto di che cos' era capace uno Stato occidentale. A partire da questo istante, chiunque indossi un' uniforme è visto come un nazista virtuale. L' individuo che si oppone all' apparato dello Stato diventa comunque un resistente; lo straniero clandestino, respinto dai gendarmi francesi, l' ebreo perseguitato». E chi, dopo Hitler, è titolato a usare oggi i mezzi legali, ma coercitivi, dello Stato-nazione? «Il cattivo uomo bianco sociologico», lo chiama Gilles-William Goldnadel. È quindi il bianco, prima corresponsabile poi sottoprodotto di un sistema capace del Male assoluto, a essere insultato e sbeffeggiato nelle istituzioni e nelle strade di Francia. Ecco perché si assiste al ripetersi, specie nelle banlieue francesi, del più odioso degli accostamenti, quello tra il popolo di Israele e i nazisti: «L' Ebreo è adorato se vestito con il pigiama a strisce dei campi di concentramento, ma viene subito odiato se è in divisa kaki. Viva l' ebreo morto, abbasso l' ebreo vivo». Nel film Le nom des gens, l' incolore Arthur Martin nasconde a lungo di essere figlio di un' ebrea scampata ad Auschwitz. Quando Bahia Benmahmoud lo scopre, ne è entusiasta: «Io sono figlia di un algerino perseguitato, tu vieni dai lager: fantastico!». Dura la vita, in Francia, per un banale uomo bianco.
Montefiori Stefano
Pagina (10 maggio 2011) - Corriere della Sera